venerdì 19 Aprile 2024

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Festival di Sanremo 2021, evviva il karaoke

L’effetto karaoke piomba sulla terza serata del Festival di Sanremo 2021, quella delle cover e duetti.


Nessuno che spieghi con quale criterio siano state scelte le canzoni: se sono sul palco dell’Ariston dovrebbero almeno ricordare la storia del festival, l’anno scorso con le celebrazioni del Settantesimo è stato giusto così. O altre volte si interpretava il brano in gara con colleghi, dando una nuova sfumatura, colore e personalità che non guastavano ai sensi della classifica finale. Dubbio su cosa serva la serata cover? Ad allungare il brodo della settimana e a far contenti gli sponsor con un giorno in più, che se ne va dimenticato tra i rumori di città (citazione festivaliera).

Stavolta invece poche le canzoni che provengono dalla storia del Festival. Una scelta senza senso. Giusto omaggiare Lucio Dalla nel giorno della sua nascita, peccato che a farlo sia stato un gruppo ospite, i Negramaro, che si concede anche nell’ormai loro “Meraviglioso” di Modugno.

Poi arriva Amadeus in giacchetta paillettata rossa e sembra un imbonitore alla “Venghino, signori venghino” sotto la tenda da circo. Perfetto per la serata karaoke. Senza Fiorello, si va più veloci, evviva. Ma è un attimo. Non solo per il siparietto del rientro, ma anche per la presentazione della modella Vittoria Ceretti, inutile se non per sé stessa. La presenza femminile in questo Festival è labile, impalpabile come la top model che si piazza di continuo davanti alla telecamera di profilo per far vedere l’abito che svela il seno. Aridacete Elodie. Avrebbero potuto ingaggiarla per tutte le serate, vista l’ottima performance.

L’effetto karaoke inizia subito: Noemi e Neffa, che già di suo non è un gran cantante, massacrano “Prima di andare via” (che è pure di Neffa), non sono in sincrono e in tempo, l’orchestra prende il sopravvento, non si capisce una parola e l’effetto funky del brano va a farsi benedire.

A Nesli e Fasma con “La fine” (di Nesli, ma portata al successo da un signor interprete, Tiziano Ferro) non funziona il microfono, a metà canzone entra il presentatore (Morgan, do you remeber?) e quelli manco capiscono cosa succede: li fa ricantare, ovviamente dopo la pubblicità, avrebbe potuto evitare lo strazio alle nostre orecchie.

Non beccano i toni manco Bugo e Pinguini Tattici Nucleari, che distruggono il solito Battisti, in questo caso una delle poche provenienti dalla storia del Festival, “Un’avventura”, e inscenano anche una sottilissima vena erotica gay politicamente corretta e pure finta.


Annalisa urla su una canzone intima come “La musica è finita”, Gazzè ritrova smalto e il suo lato introspettivo grazie agli amici di sempre come Daniele Silvestri e Roberto Angelini. Gio Evan appiattisce “Gli Anni” e l’amarcord 80 senza pathos e che dire, manco Max Pezzali è un grandissimo
cantante, ma i suoi testi hanno una chiave di lettura sotto la superficie, in questo caso la canzone gronda nostalgia e malinconia, ma si vede che Gio non ha metabolizzato il senso del brano, forse era in giro per il mondo con la sua chitarra e i bermuda colorati.

Effetto balera per gli Extraliscio con due classici, il “Casatchok” che non si sentiva da almeno 50 in tv (lo cantava Dori Ghezzi nel 1969), e “Rosamunda”, e siamo tutti trasportati in Romagna. Sanno suonare, mettono allegria, con un tocco di decadenza, e il presentatore in giacchetta rossa paillettata non ha di meglio da dire che a casa stanno tutti ballando e facendo festa: evidentemente non ha capito in che periodo storico in cui va in onda questo festival, non ha capito nemmeno gli ascolti in calo, né ammette le esistenze di altre piattaforme oltre agli stantii canali Rai.

Renga non c’è proprio in questo Festival, ha perso pure il leggendario sorriso, chissà cosa ha detto Ornella Vanoni ascoltando questa versione di “Una ragione di più” con Casadilego in versione bambolina horror. La classe di Malika Ayane non si discute, anche quando omaggia la sua scopritrice e discografica Caterina Caselli, con un “Insieme a te non ci sto più” elegante e intimistica.

Arisa si immorbidisce (ed pure per una volta meno imbruttita dal look) per “Quando” di Pino Daniele, sarà per la delicatezza insita nell’emozionatissimo Michele Bravi. Ghemon ha la fortuna di avere la bravura dei Neri per Caso dalla sua per un medley dedicato alle donne.

Con La Rappresentante di Lista il karaoke si sposta in una discoteca queer con la Rettore e l’inno “Splendido Splendente”, Lo Stato Sociale sono gli unici a ricordarsi dei lavoratori dello spettacolo dopo un anno di lockdown e merita solo per questo, i Coma Cose fanno il compitino con “Il mio canto libero” (chissà se a Bugo fischiano le orecchie), la differenza la fanno gli sguardi teneri di vero amore che si scambiano i due.

Ben due brani di Jovanotti delle origini, un altro non eccelso cantante: a Fulminacci va meglio e gioca l’energia di “Pensiero Positivo”, ma Random straccia “Ragazzo Fortunato” e i The Kolors non servono a nulla in questo disastro.

Canzoni snaturate, arrangiamenti raccapriccianti, interpreti non centrati. Si salvano “Giudizi Universali”, sempre magica, ma solo perché la canta quasi tutta l’autore Samuele Bersani e ci grazia dall’ascoltare Willie Peyote. La carica rock dei Maneskin in coppia con il loro ex mentore Manuel Agnelli per “Amandoti” e la vena erotica gay strisciante si fa più intensa e di maniera, Ermal Meta con l’ennesima cover di “Caruso” (ormai dovrebbero proibirle per legge) ma almeno lui è bravo, uno dei pochi che quando canta su questo palco fa capire le parole, e la fa sua, e persino Francesca Michelin con Fedez che si appoggia tutto sulla bravura di lei, su un modo dissacrante e simpatico di rivedere canzoni d’amore festivaliere in un medley che unisce “Felicità”, “Le cose che abbiamo in comune” a “Non amarmi” e “Fiumi di parole”, citando persino i mitici Sandra e Raimondo, in un curioso e alla fine divertente, uno dei pochi, episodi della serata karaoke.

Ma è l’Orietta nazionale la regina incontrastata della serata. Paillettata di rosso en pendant con il conduttore, alle prese con la delicatezza di Sergio Endrigo, è barocca nel look, cristallina nell’interpretazione, e bastava solo lei, senza le coriste di lusso Le Deva. Autentica, in questa chicca esce tutto il mestiere, la bravura, la simpatia, la naturalezza, oltre ad essere l’unica che canta senza stratagemmi tecnologici nell’orecchio.

E io per tutta la sera non faccio che chiedermi che duetto sarebbe stato quello tra Orietta Berti e Fedez, altroché karaoke.

sanremo 2021

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