martedì 26 Marzo 2024

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Sanremo 2020 pagelle canzoni e cantanti prima serata Festival

Le pagelle della prima serata del Festival di Sanremo 2020. Considerazioni sparse e in libertà sulla prima puntata, sentendo le canzoni su Raiplay senza tutta la fuffa intorno che odio.



PAGELLE PRIMA SERATA FESTIVAL DI SANREMO 2020

Con che coraggio paragonate a Bowie (oltraggio, lesa maestà, si starà rivoltando nella tomba) quello stonato rintronato che è dovuto ricorrere a una tutina glitterata, orrenda tra l’altro, per far parlare di sé senza avere voce né talento né fisico, sembra un serpente tatuato e paillettato? ma tanto abbiamo fatto tutti il suo gioco di esposizione mediatica e io, che sono maligna e non sono più in quell’ambiente da un pezzo, penso che gli ex miei colleghi vogliano solo compiacere chi c’è dietro tutto questo, glitterato compreso.

Non è la tutina a sconvolgere, è la mancanza di talento, voce, corpo, sotto di essa. E arriva pure tardi di almeno quarantacinque anni. Le tutine nella musica ci sono sempre state, ma nascondevano enormi talenti: Freddy Mercury, che c’aveva pure il fisico per portarle e l’ha sfoggiata una doc al Sanremo 1984, dove costretto a cantare in playback ha rivelato a tutti l’ignominia ruotando il microfono, David Bowie, Lou Reed, Iggy Pop… e via così.

Comprendendo anche Renato Zero, uno che di paillettes e piume se n’intende, condite con ironia, e persino Miguel Bosè, che era un gran figo e sexy (e nonostante tutto molte sue canzoni sono decisamente un altro livello rispetto al “Me ne frego”). Il tutinato di oggi non ha nemmeno gli attributi per essere sexy, né per la regina né per il re.
E’ più trasgressivo di una stupida tutina uno che a vent’anni canta una canzone che sarebbe stata vecchia già prima della nascita del Festival, ma rimane perfetta per un musical.

Alberto Urso canta benissimo, ma tagliategli i capelli, please, che il ragazzo è pure carino e simpatico, capace di fare anche altro rispetto alla muffa antica.

Altro giro, altro vecchio dentro. Riki e la canzone sanremese, ma poi ha senso ancora parlare di prototipo sanremese? E cosa significa veramente? Un brano d’amore sdolcinato e classico, normale? Cosa ci sarebbe di male in questo? Boh. Di sicuro il ragazzo non lascia un segno, nè positivo nè negativo, forse solo un bel faccino, ma la colpa non è sua, è di chi lo gestisce come artista, che non gli dice “guarda questo che hai scritto non è il massimo, riprova, cresci, fatti le ossa nella musica e poi vediamo”.


L’eleganza compositiva esiste ancora e al Festival porta il nome di Diodato, accorato e garbato, giusto giusto per il Premio della Critica, anche perché a me dopo un minuto annoia, ma questo piace alla critica eletta. Un’altra che mi annoia terribilmente è Elodie, ce l’ho messa tutta per farmela piacere, mi sta pure simpatica, ma proprio non ce la faccio, però lei è quella candidata a uscire, una su 24, alla grande da questo Festival e perfetta per l’Eurovision.

A proposito di Eurovision, un altro candidato pronto è Gualazzi, che sembra Elton John al Carnevale di Rio ma almeno mette un po’ di brio a questa noia e sa suonare bene.

A 75 anni vorrei avere la grinta di Rita Pavone, giacca presa direttamente dal guardaroba anni 80 degli Spandau (magari Tony Hadley l’ha dimenticata lì in un angolino del palco e trent’anni e rotti dopo lei l’ha ritrovata), faccia stravolta dal botolino, non più la voce di “Cuore”, un po’ Tina Turner di noialtri, ma Gianburrasca si merita la standing ovation, comunque, anche solo per averci provato, per giunta in gara live e non come ospite come gli altri senior in playback. E poi la canzone rockettina non è un capolavoro, ma è molto meglio di altre, tutina compresa, off course.

Masini è davvero emozionante, con un testo profondo, cantato benissimo, come al solito, ma lo apprezzeranno in pochi, purtroppo, perché non è mai stato uno amato dal main stream musicale, e la storia del portasfiga non c’entra nulla, è perché è troppo “classico”, “italiano”, “triste” per piacere a quelli con la puzza sotto il naso e agli alternativi per forza. Peccato, perché per chi l’ha conosciuto da vicino come la sottoscritta capisce che questo è il suo ritratto in musica. Tanto lui, dopo 30 anni di carriera, va dritto per la sua strada. Però tagliategli la barba, che sembra un amish dell’Ottocento in libera uscita.

Altro ritratto, altra canzone. Irene Grandi è veramente quella descritta da Vasco. Grinta rock, capacità di tenere il palco, sorriso da bambina felice e una strofa epica, “innamorata della libertà”. Basterebbe questa come risposta ai trapper maschilisti che imperversano, anche a Sanremo sotto mentite spoglie.

Anastasio, oltre che un bravo ragazzo, è un grande cantautore di oggi, però quando avrà finito la rabbia dovrà trovare un nuovo filone, se no, schiatta, camicia di forza di ieri compresa.

Se l’inedito “Raccogli l’attimo” era rimasto in un cassetto finora, ci sarà stato un motivo, no? Ma Albano e Romina vanno oltre la musica, sono la storia del costume italiano, sono gli ambasciatori all’estero di un periodo che non c’è più. Lei, sempre giuninica bella, lo guarda ancora con stupore, come a dire “ma che ci sto a fare io qui? io non volevo mica venire, non so mica cantare”, lui, ormai solidamente agganciato al capello bianco in testa, sembra sempre più il dottor Nowzaradan e ha ancora quell’aria da primo della classe. (in fondo può dare lezioni di canto a tre quarti dei cantanti in gara e non).
“Felicità” sarà pure l’inno del nazional popolare, del kitsch, di ciò che la critica odia, ma tutti, proprio tutti, la cantiamo appena sentiamo le prime note. Anche se sono in playback. Meno male, però, che ci hanno risparmiato nel loro mix “Il ballo del qua qua”. Per dovere di cronaca: nel 1987, anno in cui Romina aspettava anche sul palco dell’Ariston la figlia omonima, oggi presentatrice dei genitori, il Festival lo vinse “Si può dare di più” con Tozzi, Ruggeri e Morandi e una delle canzone rimaste nella memoria, un capolavoro vero, è “Quello che le donne non dicono”. Se poi si tiene conto che nello stesso Festival c’erano il mai troppo compianto Mango e come ospite un’impareggiabile Whitney Houston, da bis mai successo, beh… di cosa stiamo a parlare 33 anni dopo? di tutine?

Confesso che il mio pezzo preferito finora è quello di Morgan e Bugo, “Sincero”, ma io sono anni Ottanta, l’ho sempre detto. Arriverà ultima, ci scommetto.

Tutto questo circo per un paio (forse) di canzoni che rimarranno nella memoria, il resto via, spazzato via già da domenica prossima, serpente tutinato compreso, del resto uno su mille ce la fa e secondo me il peggio deve ancora venire, ci sono ancora altre puntate di Sanremo.

LEGGI ANCHE >>> LE PAGELLE DELLA SECONDA SERATA DEL FESTIVAL DI SANREMO 2020

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