martedì 19 Marzo 2024

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Sanremo 2020 pagelle canzoni e cantanti terza serata Festival (cover)

Le pagelle della terza serata del Festival di Sanremo 2020 dedicata alle cover. Considerazioni sparse e in libertà sulla terza puntata.


L’inizio sembra un miracolo, con il primo cantante che canta intorno alle 9, subito seguito dal secondo. Ma no, non stiamo mica scherzando. Era solo un miracolo, appunto. Era solo un abbaglio. Ecco le lungaggini, nonostante la mancanza di Fiorello, il vallettame, le gag, le chiacchiere infinite e si raggiunge la mezzanotte con ancora metà dei cantanti che devono ancora esibirsi. “No, grazie”.


Saranno pure 70 anni di Festival, sarà che si deve pure omaggiare il passato, ma queste cover sono una peggio dell’altra. Quasi nessuno azzecca la scelta del brano e spesso pure il compagno di duetto. Stonature, incertezze, urli, imbarazzi. Boh. Non era meglio invitare un collega a re-interpretare il proprio brano in gara come accadeva gli ultimi anni? Ne erano usciti fuori gioiellini, a volte rendendo più bello tutto, spesso meglio dell’originale e volentieri da incidere in duetto per i posteri. Ma no, facciamo le commemorazioni delle edizioni passate, magari
tirando fuori dalla memoria anche brani che era meglio ci rimanessero.

Ma perché continuare a invitare Roberto Benigini? Per dargli i soldi? Noiosissimo, infinitamente noiosissimo. Insopportabile, infinitamente insopportabile. Lungo, infinitamente lungo. Anzi, no, dura quasi quanto una puntata di Masterchef. Cosa ha detto? Cosa è successo? Al pressure test su come cucinare frattaglie è stata eliminta Miss Perfettini, Giada.

Premio speciale a Gabbani vestito da astronauta e sventolante la bandiera italiana per “L’Italiano” di Cutugno, vessillo canoro nostro in tutto il mondo, con il suo modo di raccontare un’epoca che non c’è più. L’interpretazione non è il massimo, ma lo spettacolo e l’ironia sono una mano santa a quell’ora della notte. Niente fu più giusto in questo orario del suo “Buongiorno Italia”.

Momento di sublime trash con Elettra Lamborghini annunciata dal coro dell’orchestra intonante il suo nome e con una canzone di quelle facili facili che restano incollate, una di quelle del dimenticatoio sanremese: “Non succederà più”, un altro sublime trash anni Ottanta di Claudia Mori. E’ tutto talmente trash, anche la presenza della mascherata Miss Keta, che si dimenticano le intonazioni e l’inesistente voce dell’ereditiera. Momento pride arcobaleno e basta, due drag queen di qualsiasi palcoscenico italiano avrebbero fatto molto ma molto meglio.


C’era un tempo, negli anni Sessanta, in cui andavano di moda gli urlatori. Ma Arisa è un caso a parte, sfonderebbe pure quella categoria. Non si può distruggere le orecchie degli ascoltatori e in contemporanea un gioiellino della musica italiana come “Vacanze Romane”. E’ vero, il confronto (giusto per citare il povero Masini, crollato davanti a questo scempio) è improbo, Antonella Ruggiero è un altro pianeta, la sua classe e delicatezza non sono alla portata di nessuno, ma forse sarebbe il caso che Arisa lasciasse le sue corde vocali riposare per un po’, magari qualche anno, così gli ascoltatori possono riprendere la funzione dell’orecchio.

La classe non è acqua. Lezione di stile da Gualazzi, sempre più clone di Elton John, con Simona Molinari con un macigno della storia musicale “E se domani”. Tosca, elegante a prescindere anche in salsa spanish, e persino Jannacci Jr con un divertito omaggio al papà Enzo, anche se non possiede la stralunata follia del genitore: un bel momento di spettacolo con Francesco Mandelli.

E niente, mi piacciono moltissimo i due rapper che trasformano, metabolizzano e poi sputano fuori parole di fuoco, facendo propri due pietre miliari della canzone italiana. Bene Rancore con “Luce” di Elisa con il geniale Dardust. Grandioso Anastasio che fa diventare “Spalle al Muro” un inno per i cinquantenni spaesati, confermando la sua inclinazione a scrivere testi incisivi, accompagnato dalla PFM, il meglio dei musicisti, e facendo dimenticare (missione quasi impossibile) Renato Zero e Mariella Nava, autrice del brano. Non una cover, ma proprio un nuovo brano: non era questo il senso di omaggiare il Festival? Idea folle: mi piacerebbe vedere Anastasio in coppia con Alberto Urso, magari lo svecchia e scioglie un po’, secondo me sarebbero una bomba. Forse sarebbe stato meglio che con una signora della canzone, Ornella Vanoni, che attacca il brano come se avesse una patata in bocca, mentre lui prosegue in acuti eccessivi per una canzone raccolta.

Giù le mani da Bowie. Tutina Achille Lauro si traveste, del resto è Carnevale e almeno indossa qualcosa, come la versione glam di David, trucco e completo compresi. Ansima al microfono un capolavoro come “Gli Uomini non cambiano” e su, in paradiso, Mia Martini e Bowie mandano fulmini sulla terra. Meno male che a salvare il poco salvabile ci pensa Annalisa, un’altra urlatrice della musica italiana. Certe cose non si toccano. Giù le mani da Bowie e dalla Martini, la più interpretata d’Italia. Peccato che quando era in vita pochi si filavano la sua straordinaria bravura. La rifà anche Giordana Angi, persino nel look sobrio in bianco e nero, ma lei ci è abituata, sa cantare e ha un approccio interpretativo abbastanza simile.

Morgan fa Morgan. Un po’ maestrino, un po’ folle poeta, molto accentratore. Elegantissimo, si mette pure a dirigere l’orchestra per quello che è una delle sua grande passioni, Sergio Endrigo, decisamente un cantautore sottovalutato. Bugo, emozionatissimo, viene annientato dall’istrionico compagno. Il risultato: pietoso, stonato. Ma è Morgan: prendere o lasciare.

Nonno Pelù in rosso inferno sfoggia una serie di smorfie da diavolo pacioccone e omaggia l’antesignano del rock italiano, Little Tony. Un po’ di vitalità sul palco dell’Ariston, ma niente di che, il nonno non è in gran forma anche se il palco lo tiene meglio di tanti colleghi in gara, furbo quanto basta per il duetto virtuale con Little Tony. “Cuore matto” è sempre “Cuore matto”, ma chissà come sarebbe potuta venire in duetto con l’altra cantante originale, Rita Pavone: era già l’Ariston e magari la grinta doc di Gianburrasca e l’anima sulfurea del nonno rock avrebbero fatto faville. E forse pure lei ne avrebbe guadagnato, invece di annullarsi in “1950”.

Le paiellette sono tutte di Diodato, finalmente scanzonato. Carina la messa in scena per “24 mila baci”, un momento spensierato con twist compreso, con Nina Zilli, un po’ operazione leggerezza per entrambi. Uno dei pochi episodi di divertimento nella serata infinita, insieme al mix dei Pinguini Tattici Nucleari. 70 anni di Festival concentrati in 4 minuti, da “Papaveri e Paperi” ai Ricchi e Poveri passando per Rino Gaetano fino a Gazzè e Silvestri, tra le canzoni più allegre. Evviva, bravi, e infatti scalano la classifica votata dagli orchestrali. L’orchestra di Sanremo merita il più grande applauso di sempre, solo perché ogni anno devono suonare per ore noiosità interminabili.

Amo Mika, carino, simpatico, educato, sempre sorridente, bravissimo in tutto. Pure a tenere il palco e a omaggiare con sincerità uno come De Andrè. Un livello superiore a molti in gara, come il terrificante trio Levante-Michelin-Maria Antonietta che hanno distrutto una canzone simbolo, ma non complicata, come “Si può dare di più”, annientando una fetta cospicua di musica italiana, con buona pace di Morandi, Tozzi, Ruggeri, Raf che l’ha scritta e pure Masini che è stato il primo a inciderla su un provino.
Purtroppo quando si tratta di dare di più nel campo della noia e dell’imbarazzo, Sanremo è sempre pronto.

LEGGI ANCHE >>> LE PAGELLE DELLA PRIMA SERATA DEL FESTIVAL DI SANREMO 2020

LE PAGELLE DELLA SECONDA SERATA DEL FESTIVAL DI SANREMO 2020

LE PAGELLE DELLA QUARTA SERATA DEL FESTIVAL DI SANREMO 2020

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