Seconda puntata della fiction Sanremo 2021. Gli ascolti sono in calo, chissà se gli sponsor si sono lamentati. Ma come?
Con la pandemia e il coprifuoco sono tutti a casa e non tutti l’hanno guardato! Lesa maestà! Come non capire che ormai la gente si diletta con altri dispositivi e piattaforme diverse dai canali tradizionali della tv. Un muro di gomma. Poi se gli proponi un
programma trito, noioso, incentrato sui due attempati presentatori e le loro scenette d’avanspettacolo, di certo che scappa.
Si è cercato di rimediare e la pezza è stata peggio del buco. Trovate becere, si sono messi i palloncini colorati sulle poltrone vuote (che nella prima serata si erano annoiate anche loro) e ce n’è scappato uno preso evidentemente da un sexy shop in una forma che suscita una reazione a catena di commenti e doppi sensi. Non che gli spot, i veri protagonisti della fiction, siano meglio: il siparietto sulla Liguria è imbarazzante, peggio, in fatto di promozione turistica, c’è solo il video sulla Calabria di Muccino.
La sensazione è quella di voler nascondere la polvere nelle tonnellate di paillettes che brillano sui vestiti di ospiti e concorrenti, sul mantello di Nostra Signora Pausini, sui pantaloni dell’ex diva Marcella Bella, sull’abitino modello Beyonce della vera regina della serata.
Elodie è la figura femminile che mancava tra i due conduttori, esplode nella sua bellezza e borgataggine, anche lei risarcita dal fatto che l’anno scorso i partecipanti hanno subito lo stop alla carriera dal virus. Canta, balla, si racconta: riesce vincente anche nel medley in playback dove si auto cita mischiando Raf, Madonna, Bertè, Carrà, Bowie e il faro tutelare degli artisti di oggi, Mahmood, oltre ovviamente a Beyonce.
Alla fine proprio il mood della canzone italiana di questi anni, il duo Mahmood- Dardust, sembra appiattire tutto, attanagliare tutti i brani degli emergenti fuoriusciti dai talent. Il guizzo, l’originalità, l’avanguardia sembrano arrivare dal passato, anche remoto, come il liscio reinventato in salsa horror degli Extraliscio con “Bianca luce nera”, o nella classica linea cantautorale romana di Fulminacci con “Santa Marinella”. Niente di trascendentale, ma almeno una diversità.
L’altro filo conduttore della fiction festivaliera è questo continuo e sottile richiamo agli anni 80, del resto la moda di questi mesi è proprio un tuffo in quella decade, così come molte influenze artistiche arrivano dritte da lì.
Qualcuno lo fa platealmente, come il tipo de La Rappresentante di Lista, i re del queer pop, omologati da Dardust per “Amare”, che sembra uscito direttamente per il look da una band di serie B degli anni 80, tutti di fucsia vestiti, compresa l’ascella pezzata colorata.
E’ vero che siamo anni luce distanti da “Non ho l’età” e “Montagne verdi”, che continuano a riproporre in eterno a Sanremo, ma anche basta con questo sound tutto uguale. E invece no, sono in tanti su questo solco: come Irama con “La genesi del tuo colore” che va in onda con il video delle prove e sembra un Massimo di Cataldo redivivo come giacca di pelle, capelli e modo di stare al microfono.
Con il suo brano non emerge la nuova reginetta di Amici, Gaia, che con lo spagnoleggiante “Cuore Amaro”, ricorda una “Isla Bonita” de noantri, con un look a metà strada tra Suzy Quarto, divetta rock di fine anni Settanta, e Tanita Tikaram, meteora Ottanta.
Le altre canzoni?
Bugo, al momento della verità dopo l’episodio Morgan, con giacca bicolore tre volte più larga e capelli al primo Miguel Bosé (aridaje con gli anni 80), appare stralunato ma anche orecchiabile e immediato con la sua “E invece sì”, un po’ Vasco e molto Battisti.
Ermal Meta convince sempre con “Un milione di cose da dirti”, romantico, delicato, nella sua normalità, candidato alla vittoria.
Lo Stato Sociale fa spettacolo, come sempre, tra twist e divertimento, con “Combat Pop” e le citazioni degne di un bignami del rock impersonate da caricature di Mercury, Bowie (aridaje), Lennon, Presley, che sembrano fare il paio con i cartonati della prima sera di Gazzè-Da Vinci-Silente.
Willie Peyote sembra rispondere per le rime al mood acustico attuale, oltre che descrivere l’Italia di oggi con ironia in “Mai dire mai (la locura)” .
Confesso che ho un debole per Malika Ayane quando non canta le ballate banali che ha proposto agli inizi della sua carriera al Festival. Finalmente anche qui porta questo suo lato leggiadro, gioca con la voce e la telecamera, bella interpretazione, bel look, bella presenza scenica con la sua “Ti piaci così”.
Un discorso a parte merita Orietta Berti, un monumento alla simpatia e alla capacità di mettersi in gara con gente che potrebbe essere sua nipote, mentre le colleghe della sua generazione vengono solo come ospiti. Sulla canzone “Quando ti sei innamorato”, meglio lasciar perdere, quello che conta è lei: barocca, genuina, spontanea quando mette in riga Fiorello sugli anni passati dall’ultima partecipazione e Amadeus sulla consegna del bouquet di fiori. Ma le conchiglie pailletate sul seno a una signora di quella età anche no.